di Patrizia Ghiazza – Corriere Torino, 31 Dicembre 2020
Ringrazio Paolo Verri per aver ripreso la riflessione sullo sviluppo possibile di Torino. L’autore ha usato la formula «Grande Torino» per identificare il futuro della nostra città nel mondo globale, ipertecnologico e ambientalmente instabile del XXI° secolo.
Faccio mia questa felice espressione e la completo con alcune considerazioni. È tempo di uscire una volta per tutte dal ‘900, abbandonando realmente il modello fordista, che ha contraddistinto la nostra storia per almeno cinquanta anni. Il fordismo è stata la nostra cultura e oggi è la nostra zavorra.
Pensiamo a cosa è stata la specializzazione manifatturiera nel settore automotive, la centralità del lavoro dipendente rispetto ad altre forme di occupazione come il commercio, l’artigianato, la micro-impresa, il ruolo dei due poteri forti, la Fiat da un lato e il P.C.I. e le organizzazioni sindacali dall’altro. Pensiamo infine a cosa è stata la forte espansione del capoluogo, che negli anni ’70 raggiungeva 1,2 milioni di residenti diventando l’unica metropoli del Piemonte.
Le sfide del mondo attuale non sono affrontabili se prevale l’attaccamento a questo passato. Oggi si affermano i territori che hanno più vocazioni produttive, diversi player influenti che tra loro cooperano, una struttura urbanistica diffusa. Modelli teorici? No, dati di realtà.
Guardiamo a esempi vicini: Emilia-Romagna e Veneto hanno avuto una storia “meno fordista” di noi e oggi ci hanno superato in numerosi indicatori di benessere e qualità della vita.
A quale Grande Torino dobbiamo dunque aspirare?
A una città post-fordista, caratterizzata da un’area urbana allargata, da più specializzazioni produttive (è facile individuarle in base alle missioni del piano Next Generation EU), da una forte attenzione alle forme “minori” di impresa e lavoro, prima fra tutte le startup, fonte primaria di innovazione, da una società civile che non si pone in rapporti di dipendenza e sudditanza con il potere, virtù che Torino ha già saputo dimostrare in occasione delle manifestazioni Sì Tav del 2018, nate da gruppi informali di cittadini. Siamo alle porte delle elezioni amministrative.
Non illudiamoci che un* Sindac* ci salverà, sarebbe ancora un’illusione fordista. Per essere all’altezza dei tempi, chi ci governerà dovrà esprimere una leadership aggregante, inclusiva, valorizzante delle diversità. E’ chiaro che un grande rinnovamento interesserà anche l’intera classe dirigente della città, che dovrà essere meno monolitica e omogenea e aprirsi alla diversità di genere, a profili non domestici e a nuove competenze.
Colgo spunto da un recentissimo pamphlet di Piero Bassetti – Oltre lo Specchio di Alice – che invita all’innovazione e al cambiamento attraversando lo specchio della celebre favola. Oltre lo specchio, io vedo non solo i classici portatori di interessi locali ma anche le mille partecipanti di Torino Città per le Donne, che da un mese lavorano generosamente, senza casacche di partito, ad un vasto programma di valorizzazione del ruolo delle donne in città da sottoporre al futur* Sindac*.
Oltre lo specchio, vedo gli ottantamila giovani disoccupati torinesi che vogliono opportunità di lavoro e di vita e non un reddito di cittadinanza. Oltre lo specchio, vedo gli oltre cinquecentomila cittadini pensionati che diventano mentori dei più giovani, lasciando alle nuove generazioni i ruoli di governo attivo.
Oltre allo Specchio di Alice, Torino può scoprire una nuova grandezza.
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